Biografía
Nacido en Nápoles, probablemente en 1475. Tuvo fama de versificador prolífico. Estuvo vinculado a la Academia Pontaniana, aspecto que puede apreciarse en muchos de sus versos. Se le conocen numerosos poemas eróticos y satíricos en latín, así como su obra Protogonos. Murió en Nápoles, poco después de 1540.
Más información en: http://www.treccani.it/enciclopedia/giano-anisio_%28Enciclopedia-Italiana%29/; https://www.wikidata.org/wiki/Q3763709.
“Giano Anisio. — Temperamento non diverso era quello di Giano Anisio: anch’egli ama, vagheggia ideali di bellezza, e se ne compiace. Filli, Nealca, Intimilla rapidamente passano come sogni di bellezza e d’amore nella vita del poeta; ma se questo amore, col tempo, avrà a finire, egli non saprà rassegnarsi come Orazio, sibbene proromperà in una mal compresa disperazione pari a quella di Lucrezio. Egli è l’uomo che piange l’idillio impossibile del sentimento, e non si lascia sviare da nessuna illusione. Alla sua Fanniella chiede un abraccio e un bacio:
«Me amplectere mi suavium da
Mellitum, sapidumque salsulumque»;
ed incalza:
«Mamillas nitidissimumque pectus
Oro, me sine, teque palpitare,
Teque sorbere et jugulare totam.
Et si te dabis hoc modo, licebit,
Vobis regna alii, atque opes habetote
Et mi Fanniolam relinquitote.»
È evidente, in questi versi, l’imitazione pontaniana: ci son tutti i vezzi e le sfumature della voluttà, c’è tutto lo spasimo del possesso bramato; ma se qualche sentimento vuol tralucere qua e là dalla sua poesia, vi resta soffocato dalla troppa erudizione. Pontaniano sempre, catulliano a volte:
«Es, mea Luciole, nitidis fulgentior astris,
Es matutina luce serena magis,
Es nive candidior, tyrioque rubentior ostro,
Es matutino tempore laeta magis.
Te rosa non superat, fundis si ex ore ruborem,
Si palles; pulchra pulchrior es viola.
Ergo, Luciole, nobis nova dum viret aetas
Carpamus flores quos nova prata ferunt.»
Ricco di nostalgia affettuosa e di dolore è l’epitaffio per la mamma:
«Charimosyne, quo, mater, abis, suavissima mater?
Natos ehu, linquens tristibus in lachrymis,
Sola relicta domus; nam tu custodia fida,
Mater, eras, firmum praesdiumque domus.
Illud solatur tua quod sanetissima vita
Molle tibi extrema in morte paravit iter.»
Da buon abate, non manca di cantare in gliconei catulliani una lauda Ad Mariam Virginem:
«Mariae sumus in fide,
Puellae et pueri integri,
Mariae, pueri integri,
Puellaeque, canamus.
O virgo, o dea, maximi
Magna progenies Jovis,
Quam mater prope balsama
Enxia est Hierico, ut
Omnium domina et salus
Aeterno imperio fores.
Tu sydus nitidum maris
Saltuumque migrantum,
Tu, Lucina, puerperas
Orci e limine praeripis,
Explens laetitia, edito
Partu in luminis oras.
Tu morbos, dea, pallidos
Languentumque animantium,
Camporumque virentium,
Fugas vergineo ore.
Sis quocumque tibi placet,
Sancta nomine, ut assoles,
Bonae Parthenopes, bona
Sospites ope gentem.»
Ma, più che per la lirica, l’Anisio credeva di esser nato per la satira; tuttavia, le sue cinquantaquattro cosiddette satire, suddivise in sei libri, altro non sone che sermoni poetici di vario argomento. Il poeta stesso ebbe a dichiarare in una sua prefazione:
«Ergo omne opus fuit satyra, ex ineunte libello
Qui ex quo cecini carmina prima puer,
Nimirum ad satyras longo post tempore adivi
Nempe dies iudex altera it alterius.»
E il Tallarigo, con l’abituale sua buona fede, abboccò a questa vantata qualità di poeta satirico, e non esitò a far dell’Anisio il primo riproduttore delle satire dal tempo dei classici. Evidentemente, il buon Tallarigo dimenticava che, nel 1453, venivano offerte, proprio in Napoli, a re Alfonso le Hecatostichae del Filelfo, e che, a quel tempo, già il Vinciguerra componeva satire in volgare. Saltando l’Eccerinis del Mussato, portremmo piuttosto accordare all’Anisio la prorità di tragediografo, che egli stesso si reivendica nella prefazione del Protogonos:
«Tragoediam intermissam ab usque saeculo
Illo beato, quo nitebat ingenii
Ver floridum messisque proventum dabat
Largum Camoenis, affero vobis, deo
Non abnuente lucido arbitro aetheris.»
Eppure, c’è il cosentino Antonio Telesio, che, contemporaneamente al Protogonos dell’Anisio, componeva la sua tragedia Imber aureus. Sorvolando su queste questioni di prorità, interessanti fino a un certo punto, cos’è questo Protogonos? Appena una parafrasi della storia di Adamo ed Eva, in versi giambici alternati con saffici. I caratteri dei personaggi, eccetto qualcuno, son dipinti con eguaglianza, non presentano alcun rilievo e sembrano inanimate personificazioni di concetti morali, quali il peccato, la giustizia, la riparazione, la misericordia: tutte figure astratte, che agiscono sotto il velo di freddi simboli. È lo stesso sentimento religioso dell’argomento che manca nell’artista; e a tal proposito non sarà fuor di luogo ricordare quale elastico criterio religioso avesse l’Anisio: «Pythius Apollo Atheniensibus consultus respondit eam potissimum retinendam esse religionem quae tradita esset a maioribus». Eppure, l’Anisio col suo Protogonos voleva in fondo rappresentare la lotta tra la coscienza cristiana e la giustizia di Dio per il peccato originale, e dimostrare che tale lotta si risolve nella giusta misericordia divina!”
En: Altamura, Antonio. L’umanesimo nel mezzogiorno d’Italia. Firenze: Bibliopolis, Libreria Antiquaria Editrice, 1941, pp. 116 – 120.
“Giano Anisio (1465 – 1540) nacque a Napoli, e giovinetto entrò nel sodalizio, dove conobbe il Pontano, che lo apprezzò. Appartenne al clero, ma rifiutò ogni carica per dedicarsi agli studi, e fu letterato di vasta erudizione. Poeta latino, spirementò metri e generi diversi. Suo fratello, Cosimo, dichiarava che se fosse vera l’opinione di Pitagora sulla trasmigrazione delle anime, «dovrebbe ritenere Giano una reincarnazione di Virgilio»; Girolamo Carbone, nella Elegia al Nifo, loda i ritmi pindarici dei suoi canti; lo stesso Giano si proclamava restauratore della tragedia greca. Fu amico di tutti i soci dell’accademia e di Troiano Cavaniglia, conte di Troia, a cui dedicò la satira De principe; di Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, a cui dedicò un’altra satira (lib. V, 85), in cui si tratta ampiamente delle lettere e dei letterati greci e latini; del cardinale Pompeo Colonna. Mal gl’incolse con l’irrequieto e aggressivo Nicolò Franco, che non livore lo attaccò nei suoi Dialoghi Piacevolissimi (Lanciano, 1924) e in una lettera al Filocalo. Le sue opere: Varia poemata, Napoli, 1531; Satyrae, Napoli, 1532; Poematum liber, Napoli, 1533; Protagonos tragoedia, Napoli, 1536; Variorum poemata, liber tertius, Napoli, 1537; Epistolae de religione, Napoli, 1538; Sententiae, in una raccolta di vari autori, Basilea, per Roberto Winter, 1541. Su di lui: E. D’Afflitto, Memorie degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli, 1782 – 1794; L. Nicodemo, Addizioni alla Biblioteca napoletana del Toppi, Napoli, A. Bulifon, 1678; M. Tallarigo, G. Anisio, Napoli, 1887; G. Vollaro, Anisio umanista dell’Academia pontaniana, Napoli, 1914.”
En: Della Roca, Alfonso, L’umanesimo napoletano del primo Cinquecento e il poeta Giovani Filocalo. Napoli: Liguori Editore, 1988, pp. 15 – 16.
Bibliografía Primaria
- Varia poemata et satyrae - 1531
- Variorum poematum libri duo - 1536
- Epistolae de religione et epigrammata - 1538
Bibliografía Secundaria
- Melisaeus - 2008