Biografía
Nacido en Barcelona hacia 1450 y fallecido en Nápoles en 1514. El Cariteo llegó a la ciudad partenopea entre 1467 y 1468, cuando estaba dominada por los aragoneses. Aficionado desde joven a la música y a la conversación, conoció pronto a Sannazaro y a Pontano, así como a otros grandes literatos napolitanos. En la Academia Alfonsina se le llamó el Cariteo y el “prediletto delle Grazie”.
Hoy su nombre está unido principalmente al cancionero (ed. de E. Percopo, Nápoles, 1892), que se imprimió por primera vez en 1506. Escribió rimas amorosas y poemas de contenido histórico, político y cortesano. En sus poemas en terza rima la Pasca y las Metamorfosi (1509) conjugó ingenio elementos sacros y profanos, antiguos y modernos. En su poesía se encuentran numerosas reminiscencias de Petrarca, de los trovadores provenzales y, por supuesto, de los clásicos latinos. El Cariteo está considerado uno de los mayores representantes de la poesía culta de la segunda mitad del siglo XV.
Más información: http://www.treccani.it/enciclopedia/benet-gareth_(Dizionario-Biografico); https://www.wikidata.org/wiki/Q3666302.
“Il Cariteo. — Ugualmente petrarchesca è l’intonazione di molta poesia di Benedetto Gareth, cui gli accademici napoletani imposero il nome di «Cariteo», quasi che le muse, oltre a donargli la fecondità, gli avessero anche ispirato un canto immortale. Vi risentiamo, altresì, echi classici e trobadorici e danteschi, oltre una spiccata simpatia artistica verso la produzione della corte medicea, e in particolare verso quella di Lorenzo, del Pulci e dei «rispetti» del Poliziano.
Nato a Barcelona intorno al 1450, venne a Napoli tra il ’67 e il ’68, dove ben presto fu circondato dall’amicizia affetuosa degli umanisti e dei principi suoi connazionali, che molto apprezzavano l’abilità di musicista, la facilità di poeta e la conversazione agile e affascinante di questo giovane catalano veramente così dotato dalle muse. Dall’amicizia dei sovrani gli provennero varî uffici: quello di percettore dei diritti del sigillo della r. Camera (1486), e l’altro di segretario di stato, dopo che il Pontano lasciò tale carica (1495). Allorchè Carlo VIII occupò il regno, egli seguì il suo re nell’esilio, e con lui ritornò a Napoli nel breve periodo che sul trono risalirono gli aragonesi; ma, dopo la discesa di Luigi XII (1501), si ritirò a Roma, dove si trattenne fin quando Ferdinando il Cattolico non ebbe il regno di Napoli in suo potere. E nella città adottiva rimase fino alla morte (1514), sempre ammirato dai pontaniani, e onorato da Consalvo di Cordova con la nomina a governatore del contado di Nola (1504).
L’opera del Cariteo, stampata per la prima volta a Napoli nel 1506 da G. A. Caneto, è tra le pochissime fortunate, chè ha avuto, oltre le ristampe venete, un’edizione critica moderna, dottissima e accuratissima, dovuta alla gran «pietas» di Erasmo Pércopo, che fu anche il primo a far conoscere il vero cognome del Cariteo, sul quale si erano fatte così astruse congetture da arrivar persino a individuare il Cariteo in Gerolamo Seripando! La raccolta delle rime del Gareth va sotto il nome di Endimione, appunto chè una Luna (Chiaromonte, o Montalto, o Sanchez de Luna?) vi è cantata, e che, come la luna, secondo l’immaginoso poeta, era unica al mondo, fredda e pudica. Beninteso, l’amore del poeta è spiritualissimo e s’imbeve largamente alle onde della gran lirica petrarchesca; nondimeno, il Pontano, con cordiale ironia tutta meridionale, scherzò su questo santo amore e lo dichiarò «piuttosto sporco». Anche il Cariteo incorse, perciò, come tutti i suoi colleghi d’imitazione, nei soliti errori; anzi, esagerò più che gli altri, cadendo in un concettismo e preziosismo, che gli valsero le lodi dei contemporanei, ma che al nostro gusto lo presentano come un presecentista. Anche negli strambotti gli mancano la grazia e la spontaneità dei canti popolari, pur riuscendo per purità di lingua superiore ai rimatori della raccolta del conte di Popoli e agli stessi di Genaro o Galeota: e fu forse per questa ultima ragione (la quale costituiva, in fondo, l’unico pregio di quei componimenti) che li esculse dalla seconda edizione del suo canzoniere, avendo a fastidio che tra le liriche di lui, poeta colto, figurassero versi che appartenessero alla tradizione popolare.
Pur non essendo difficile la consultazione delle rime del Cariteo, riporto qui un solo sonetto, anch’esso un «sogno», come l’altro del Sannazaro:
Quest’è pur quella fronte alta e gioconda,
che turba e rasserena la mia mente;
quest’è la bocca, che soavemente
d’amorosa dolcezza hor mi circonda.
Questi son gli occhi che ‘n la più profonda
parte del cor m’han posto flamma ardente;
et questo è ‘l petto che profusamente
d’almo candore e pudicitia abonda.
Hor ne le braccia io tengo il corpo adorno
d’ogni valore, hor son con la mia dea,
hor mi concede Amor lieta vittoria…
Così parlar dormendo mi parea;
ma poi che gli occhi apersi e vidi il giorno,
in ombra si converse ogni mia gloria.
(son. XV, ed. Pércopo, p. 17)
L’«esterno» è tutto petrarchesco, come si vede. Nell’imitare il gran modello, sembrano tutti copiarsi tra loro. Ma, ben triste doveva essere, per questi ingenui amatori petrarchisti, risvegliarsi da sì gagliardi sogni! E forse fu questa la più succosa vendetta del Petrarca…
Io son colui, che, nel florente aprile
de mia fugace e vaga primavera
cantai d’amor con dolce lyra humìle;
hor, ne la grave età, la Musa altera
con maggior lena ascende al ciel superno,
lascinado indietro homai l’ultima spera.
Anime sante, exempio sempiterno,
lume e splendor del bel Thosco idïoma,
Dante e Petrarca, d’Arno honore eterno,
onde traheste voi la ricca soma
dei bei volumi? ……..
(Pascha, vv. 1 – 11)
La grave età spinge il poeta, nella Pascha, alla solita contaminazione di elementi sacri e profani, antichi e moderni, nel narrare i fatti che seguirono dalla morte di Cristo fino alla sua ascensione in cielo; ma è tutto un pretesto, che deve portare alla glorificazione dei Del Balzo, i quali, per una antica leggenda, si vantavano discendenti da uno dei tre re magi. Alla stessa intonazione cortigiana si collegano le Metamorfosi, nelle quali è compianta la morte di Alfonso d’Avalos e, al tempo stesso, anche la caduta della dinastia aragonese, introducendo nel poemetto visioni di ninfe e divinità fluviali del golfo di Napoli, che ripetono in volgare i vecchi fantasmi classici del Pontano.”
En: Altamura, Antonio. L’umanesimo nel mezzogiorno d’Italia. Firenze: Bibliopolis, Libreria Antiquaria Editrice, 1941, pp. 164 – 167.
“Benedetto Gareth, detto il Chariteo (1450 – 1514), nato a Barcellona, si trasferì a Napoli, dove fu bene accolto dalla corte aragonese, dalla quale ottenne important incarichi. Fu amico fedele di Ferrandino, che seguì in esilio, ma per dissapori col suo successore, Federico, si trasferì a Roma al servizio di Agostino Chigi. Tornato a Napoli, fu nominato da Consalvo di Cordova governatore di Nola. Le sue Rime, pubblicate da E. Percopo, Le rime del Chariteo, Napoli, 1892, o ricalcano il Petrarca e i latini, o diversamente assumono un andamento prosastico. Pur non essendo fulgidi di bellezza, alcuni suoi versi “danno un vivo commento sentimentale e personale alla storia e alla cronaca di quel decennio tra la fine del Quattro e i primi del Cinquecento” (B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, vol. I, Laterza, 1945, pp. 37 – 43). Si vedano anche F. Tateo, o.c., pp. 121 – 133; E. Ciaravelli, Chariteo e le sue opere volgari, Bologna, 1887; A. D’Ancona, Del secentismo nella poesia cortigiana del sec. XV, in “Pagine di lett. e storia”; G. Getto, Sulla poesia del Chariteo, in “GSLI”, CXXIII, 1946; R. Consolo, Il libro di Endimione: Modelli classici, “inventio” ed “elocutio” nel Canzionere del Cariteo, in “Filologia e critica”, III, fasc. I, pp. 19 sgg.; E. Fenzi, La lingua e lo stile del Cariteo dalla prima alla seconda edizione dell’Endimione, in Univ. di Genova, Ist. di lett. ital., “Studi di filologia e lett.”, I, 1970, pp. 9 – 83; D. De Robertis, Il Chariteo, in “Il Quattrocento”, Garzanti, 1966.”
En: Della Roca, Alfonso, L’umanesimo napoletano del primo Cinquecento e il poeta Giovani Filocalo. Napoli: Liguori Editore, 1988, p. 12 – 13.